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Cesarini da, Cesarini toglie. La Juve dovrebbe saperlo meglio di altre, visto che la zona Cesarini l’ha fatta nascere, e visto che nell’ultima settimana si è ritrovata a guadagnare e perdere un secondo posto in classifica nei minuti finali delle sue partite. Il gol di Krasic contro la Lazio aveva permesso l’aggancio proprio ai biancocelesti, la rete di Pellissier a Verona cancella il sogno di ritrovarsi a -3 dal Milan.

Destino opposto per la Lazio, che la settimana scorsa aveva visto raddoppiare il suo svantaggio nei confronti dei rossoneri, e ieri invece l’ha nuovamente dimezzato. Ancora una volta tutto negli ultimi minuti di gioco. A Torino fu Krasic, con l’aiuto di Muslera, a otto secondi dal termine del recupero. A Roma è stato Kozak, con la nettissima collaborazione di Zapata, a sconfiggere l’Udinese al termine di una partita bellissima ed emozionante. Il 3-2 dell’Olimpico è di quelli che riconciliano col calcio e da due certezze in più al campionato: la Lazio non è una meteora e Hernanes è un fuoriclasse.

Chi di Cesarini ha fatto il suo Santo protettore è il Napoli. L’ex mezzala della Juventus rischia seriamente di soppiantare San Gennaro. I gol e i punti pesantissimi ottenuti contro Cagliari, Palermo e Lecce sono arrivati tutti sul filo di lana, così come la rete decisiva per il passaggio del turno di Europa League contro la Steaua Bucarest.

Protagonista del secondo posto del Napoli, a pari punti con la Lazio, è Edinson Cavani, per anni vittima di un terribile equivoco sul suo ruolo in campo. A Palermo giocava da seconda punta, spesso largo sulla fascia, proprio lui che quando aveva l’occasione di trovarsi vicino alla porta difficilmente perdonava. A Napoli hanno capito che è un centravanti, che deve muoversi dentro e fuori dall’area, ma preferibilmente in zone centrali. L’hanno capito e il Matador ha già fatto dieci gol in campionato e cinque in Europa League. Lui ha trovato la sua terra promessa e Napoli il suo messia.

Milan, Lazio e Napoli. Tre squadre nello spazio di tre punti. Un campionato così aperto in Italia non lo si vedeva da qualche anno. Merito delle così dette squadre di medio livello, sempre più organizzate e in grado di trovare campioni a costi relativamente ridotti. Demerito delle grandi, incapaci ormai di competere ai massimi livelli in Europa e un po’ più deboli anche in casa propria. Colpa anche della fortuna, e di quella mezzala juventina degli anni trenta che si chiamava Renato, e che tutti conoscono come Cesarini.

La Lazio può vincere il campionato. Può farlo perché la vittoria di Palermo è un segnale di maturità e perché questo avvio di stagione e i quattro punti di vantaggio sull’Inter non possono più essere solo un caso, e infatti non lo sono. Può farlo perché Reja l’ha costruita come meglio non poteva e perché, anche se di fuoriclasse vero forse ne ha solo uno, tutti sono dei grandi giocatori in un contesto di grande squadra.

Può farlo perché la difesa è blindata e la guida di Dias (supergol del Barbera a parte) è una di quelle che qualunque squadra vorrebbe avere. Può perché Ledesma, quando non è costretto a fare l’architetto, è uno dei migliori geometri del campionato, e perché Brocchi, nonostante i 34 anni, corre quanto due ventenni.

Può farlo perché Mauri ha finalmente trovato la sua collocazione ideale in campo e soprattutto perché ha a sua disposizione uno Zarate completamente nuovo. L’argentino segna molto meno di due anni fa, ma si è riscoperto tremendamente importante per tutta la squadra, col suo lavoro sulla fascia, la sua abilità nell’uno contro uno e i suoi miglioramenti in fase di copertura.

Può competere con le migliori perché c’è il Profeta e, in questo caso, non c’è bisogno di aggiungere altro, basta vederlo giocare, e può farlo perché ha Floccari dalla prima giornata e non più solo da gennaio come un anno fa.

Può vincere il campionato perché si esprime da squadra, mettendo da parte le individualità, perché tutti, da Muslera a Floccari, sono capaci di soffrire senza subire e crollare, perché sanno quando è il momento di far male e sanno tenere un vantaggio anche in inferiorità numerica. Può farlo nonostante l’assenza degli Irriducibili e lo scarso credito tributatole, spesso superficialmente, dagli addetti ai lavori.

Può perché è la classifica a dirlo, e da oggi tutti, anche chi ancora non ha iniziato a farlo, dovrebbero seriamente tenere d’occhio la Lazio.

Una nuova Lazio, con nuove ambizioni e la capacità di tradurle in campo in gioco, gol e vittorie. È la squadra di Edy Reja, che dopo aver perso la prima partita a Genova contro la Samp nonostante un ottimo primo tempo, ha conquistato i 3 punti contro Bologna in casa e Fiorentina al Franchi. È una Lazio compatta in fase difensiva e bella da vedere quando attacca, una Lazio che gioca come una squadra e che non vive più delle invenzioni di un fuoriclasse bizzoso come Mauro Zarate.

L’argentino si è accomodato in panchina a Firenze, e non ha visto il campo nemmeno per un minuto. E non è un caso che senza di lui si sia vista una Lazio convincente, in grado di imporre il proprio gioco e di fare la partita dall’inizio anche se in trasferta, una squadra capace di rialzarsi dopo la batosta del gol su rigore di Ljajic e di ribaltare il risultato.

Il fuoriclasse questa squadra lo ha, ed è Hernanes. Il brasiliano è uno che trasforma le azioni senza sbocchi in momenti di terrore per le difese avversarie. Ha dribbling, palleggio e tiro da fuori, e, pur non avendo paura di usarli, sa quando è il caso di non eccedere nelle giocate personali. Ha una visione di gioco invidiabile, e una sorta di piacere innato nel lanciare i compagni di squadra per metterli in condizione di far gol. È un profeta, ma non predica nel deserto, perché gli altri lo seguono e così tutta la squadra è capace di sviluppare azioni pericolose e belle. Tutte giocate a uno o due tocchi, come chiesto da Reja, come visto ieri a Firenze. Al suo fianco Mauri sembra tornato quello delle prime stagioni in biancoceleste e Bresciano, ancora impreciso sotto porta, può rappresentare una grande risorsa per la squadra romana.

Mercoledì all’Olimpico arriverà il Milan, che con Ibrahimovic (e l’infortunio di Pato) ha perso velocità e imprevedibilità, ha rallentato la manovra rendendola ancora più macchinosa e agevolando i compiti dei difensori avversari. Il Milan che nelle ultime due partite, giocate contro Cesena e Catania, ha raccolto la miseria di 1 punto. Ancora è presto per comprendere le gerarchie di un campionato appena iniziato, ma una vittoria biancoceleste potrebbe comunque dare fiducia a tutto l’ambiente laziale, e affossare un pochino quello milanista.

E se piace la Lazio, altrettanto non si può dire di queste Fiorentina di inizio stagione. Un solo punto, raccolto in casa contro il Napoli, la miseria di due gol segnati, uno con un tiro da fuori e l’altro su calcio di rigore, un gioco discontinuo che va a fiammate e non convince. Una pochezza che non può essere spiegata solo e semplicemente con le assenze di Mutu e Jovetic. Le buone notizie, a Firenze, si chiamano Ljajic e Babacar, due giocatori giovanissimi che hanno tutte le carte in regola per diventare, col tempo, dei fenomeni. Le cattive notizie riguardano invece il ritardo di condizione di Vargas e un Gilardino che, se ha ritrovato il gol in azzurro, in viola continua a non segnare da marzo.

Ieri la Fiesole intonava “Sinisa prendili a pedate”, dimostrando di stare dalla parte del tecnico e di credere ancora in lui. E sì che le pedate di Sinisa devono far male, soprattutto se date col mancino, roba da risvegliare pure i morti. Anche se al momento, difronte a questo avvio di stagione, sembra più probabile che una sola e grossa pedata, marchiata Tod’s, la prenda proprio Mihailovic.

C’è una squadra, in Italia, che ha smesso di essere grande da 6 anni, travolta dai debiti e da uno scandalo giudiziario grosso come una casa. C’è una piazza, in Italia, che ancora non ha smesso di pensare in grande, nonostante negli ultimi 6 anni abbia gioito poco, quasi nulla, vivendo spesso pericolosamente in bilico sul filo della retrocessione in serie B.

C’era una squadra, in Italia, che si chiamava Lazio, e che 10 anni fa festeggiava uno scudetto vinto con merito, guidata da giocatori straordinari, in grado di regalare giocate e gol straordinari ai suoi tifosi e a tutti gli amanti del calcio italiani. Quella squadra poco a poco si disfece, prima con scelte sul mercato non particolarmente azzeccate, poi con il crack finanziario della Cirio e del suo presidente Sergio Cragnotti.

C’è una squadra ora, in Italia, che continua a chiamarsi Lazio, e sogna di tornare grande, nonostante un presidente poco incline a follie sul mercato e mai troppo amato dalla sua curva. Questa squadra prova a rinascere dalle ceneri, e quest’anno vuole sognare in grande. Per farlo ha deciso di regalarsi Hernanes, numero 10 del San Paolo a lungo inseguito dalle grandi d’Europa, un giocatore capace di grandi numeri. Bravo con entrambi i piedi, capace di giocare fra le linee e impostare la manovra come di tirare in porta e fare gol, Hernanes può diventare quello che alla Lazio manca da quando se n’è andato Veron: il giocatore di qualità che Lotito non è riuscito a trovare né in Ledesma, né in Matuzalem, quello che fa cambiare il passo alla squadra e ai compagni.

Hernanes è il giocatore giusto per innescare la splendida follia di Zarate, sempre che l’argentino decida finalmente di giocare con la testa e con la squadra, oltre che da solo e coi suoi piedi. Hernanes è il giocatore che può spedire il pallone in mezzo all’area, a Floccari o a Rocchi, con cross precisi come quelli che disegnava la Brujita. Hernanes è costato 14 milioni alla Lazio, diventando il secondo giocatore più pagato da Lotito dopo Mauro Zarate, tanti soldi ma spesi bene. Il brasiliano potrebbe rivelarsi il colpo più interessante della stagione, per ora è sicuramente l’acquisto più importante della serie A. Da lui, Garrido e forse Kevin Prince Boateng, i tifosi della Lazio sperano di ripartire, per tornare a gioire, ancora una volta, come 10 anni fa.

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