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Anche per Wesley Sneijder rischiano di essere gli ultimi giorni in nerazzurroCon quel taglio di capelli potrebbe essere benissimo un marine al corso d’addestramento. Gli manca l’elmetto ed è perfetto per partire in guerra a difendere il suo bunker. A Wesley Sneijder la serie A affida i residui di grandeur lasciati per strada dagli addii negli anni di giocatori come Kakà, Balotelli, Ibrahimovic (che poi è tornato fino a data da destinarsi), Pastore. Non più punto di approdo per i migliori calciatori del mondo, ma trampolino di lancio per giovani talenti scoperti nel nulla e ceduti nel pieno della loro maturità a qualche potentissimo club estero.

L’ultimo della lista è stato Samuel Eto’o, lui sì arrivato in Italia all’apice della sua carriera, ma ripartito appena due stagioni dopo destinazione Russia, per la precisione Dagestan. C’è chi non riesce a spiegarsi come un giocatore con la sua carriera possa lasciare il nostro glorioso campionato per la Russian Premier League. Bene, io non sono tra quelli. Provate a confrontare i risultati internazionali ottenuti dalle squadre italiane negli ultimi anni con quelli delle russe. Se farete la tara delle episodiche Champions League di Milan e Inter scoprirete che la Pianura Padana riesce ad essere più deserta e fredda della steppa. Scoprirete che recentemente la Roma ha preso lezioni di calcio dallo Shakhtar Donetsk, e che il Palermo è appena stato eliminato dai preliminari di Europa League dal Thun. L’ultima Champions League dell’Inter è stata un fallimento pressoché totale, e l’alba della nuova stagione non fa certo ben sperare. Aggiungete a tutto questo i 20 milioni a stagione che Eto’o andrà a prendere in Dagestan, e il fatto che, per quanto possa stupire i più, Makhachkala è una bellissima città sulle rive del Mar Caspio, e capirete bene perché Sammy abbia deciso di andare via.

Il nostro calcio cade a pezzi, minacciato dai soldi e dalle capacità programmative di inglesi, spagnoli, ucraini, e adesso anche russi e francesi. Non possiamo competere con loro sotto il profilo finanziario, non vogliamo farlo sotto quello tecnico. Ci resta Wesley Sneijder, e teniamocelo buono. Perché a dispetto di tutti gli Aguero, i Tevez, i Giuseppe Rossi che hanno riempito le pagine dei quotidiani sportivi italiani per mesi, i nuovi arrivati dall’estero sono delle bellissime scommesse (Bojan, Lamela, Ricky Alvarez, Castaignos), o grandissimi campioni al crepuscolo di una straordinaria carriera (Klose, Cissé). La bilancia del saldo import/export pende pericolosamente sul piatto delle uscite e ci vorrebbe un miracolo o un regalo per riequilibrarla. Magari il ritorno di Kakà, sempre più in rotta con il Real Madrid e con la valigia pronta. Il suo ritorno al Milan si potrebbe fare a costi ridottissimi a ridosso della chiusura del mercato, come avvenne un anno fa per Ibrahimovic. Sperando che anche questa non resti soltanto una suggestione, o un sogno estivo spazzato via dai milioni del Paris Saint Germain.

Alexis Sanchez è sempre più vicino al Barcellona

Nel calcio italiano i miracoli hanno un nome e un cognome: Giampaolo Pozzo. Il patron dell’Udinese ha costruito un gioiello partendo dal nulla, con competenza, intelligenza amministrativa e pazienza come unici ingredienti. Al Friuli lo sanno bene e il preliminare di Champions League appena conquistato lo dimostra. Quello che forse pochi sanno è che Pozzo, da qualche anno, ha deciso di esportare il suo miracolo portandolo in Spagna. Nell’estate del 2009 la sua famiglia ha rilevato la maggioranza del pacchetto azionario del Granada, portandolo in due anni dalla Segunda B (la serie C spagnola) alla Primera Division. La promozione è arrivata ieri, dopo il pareggio per 1-1 sul campo dell’Elche, con un gol, manco a dirlo, di Odion Ighalo, in prestito dall’Udinese. L’anno prossimo il Granada di Pozzo affronterà il Barcellona e il Real Madrid.

Barcellona e Real che potrebbero essere rivali di Pozzo anche in Europa, dove l’Udinese ha tutte le intenzioni di fare una bella figura. Anche senza Alexis Sanchez, che giocherà al Camp Nou. La trattativa per portare il Niño Maravilla in blaugrana è in dirittura d’arrivo. L’offerta del Barça è di 28 milioni subito, più 11 legati al rendimento del giocatore, qualcosa di molto vicino ai 40 chiesti da Pozzo per privarsi di Sanchez, una cifra che ha spiazzato la concorrenza di Manchester United e Manchester City e spento le residue speranze di Inter e Juventus. Alexis affronterà da avversario chi l’ha portato nel calcio, lo farà in campionato e forse anche in Champions League.

Per sostituirlo l’Udinese prenderà Pablo Piatti. La Liga Adelante è troppo stretta per il talento argentino dell’Almeria, che potrebbe arrivare al Friuli per una cifra intorno agli 8 milioni. Piatti è un mancino con buon dribbling, rapido e tecnico, ha 22 anni e in Spagna ha segnato 20 gol in 101 partite. Può giocare su entrambi gli esterni o dietro le punte, e ha conquistato il mondiale under 20 del 2007 con l’Argentina. Qualcuno, con un esercizio di grande equilibrismo logico, l’ha paragonato a Messi, ma si tratta comunque di un ottimo giocatore con profilo Udinese.

Se Pozzo lo portasse in Italia concluderebbe un buon affare, come buoni, anzi ottimi, sarebbero anche i 40 milioni incassati per Sanchez. I tifosi stiano tranquilli: il miracolo Udinese continuerà, magari anche senza Niño Maravilla.

IL TALENTO DI PABLO PIATTI

Alexis Sanchez è sempre più vicino al Barcellona

Sanchez più Rossi. E poi magari Cesc. Il piano del Barcellona è questo: i tre giocatori sono in cima alla lista dei desideri di Guardiola e il nome del Niño Maravilla non è alternativo a quello di Pepito. Pep, quello grande, li vorrebbe entrambi, per comporre con Villa, Messi e Pedro quello che sarebbe senza ombra di dubbio l’attacco più basso e forte del mondo. Ecco perché l’Udinese dice che il Barça è in vantaggio per Sanchez e allo stesso tempo Federico Pastorello, procuratore di Rossi, si incontra con Zubizarreta.

L’ipotesi che il Barcellona prende entrambi gli attaccanti è da tempo sui giornali spagnoli, soprattutto su quelli catalani, mentre in Italia viene ritenuta più impossibile che improbabile. Così Inter e Juventus si sono convinte che, se proprio Sanchez sarebbe andato in Catalogna, sarebbero rimaste in due a contendersi Rossi. Il rischio invece è che Rosell metta a segno il doppio grande colpo, soffiando entrambi alla concorrenza italiana. L’operazione non è semplice, ma nemmeno impossibile. Il Barcellona ha offerto 30 milioni più Bojan all’Udinese, un’offerta difficile da rifiutare, tenendo conto anche della volontà di Sanchez di lasciare il Friuli.

Giuseppe Rossi. Il Barcellona non rinuncerà a lui nemmeno se dovesse arrivare Sanchez

Su questo il Barça sembra voler premere per convincere il Villareal a cedere Pepito, ed è probabilmente di questo che avranno parlato oggi Zubizarreta e Pastorello. Rossi deve lanciare un segnale forte: se vuole il Barça deve dirlo chiaramente. Il tempo dei silenzi, dei “forse” e dei “vedremo” è finito, ora tocca a lui fare la sua mossa. Per lui Rosell è disposto a pagare una ventina di milioni, inserendo magari una contropartita tecnica: Jeffren o Afellay.

C’è poi il caso Fabregas, e non c’è estate che si rispetti senza che si ripeta la stessa identica telenovela. Lui vuole il Barcellona ancora più di quanto il Barcellona voglia lui, Rosell vorrebbe esaudire i suoi desideri più di quanto non voglia fare Wenger, gli stessi tifosi blaugrana sono decisamente meno entusiasti all’idea di un suo arrivo di quanto non siano disperati quelli dell’Arsenal all’idea di perderlo. Come l’anno scorso il Barça non andrà oltre i 35 milioni, consapevole anche del fatto che per Wenger sarà più difficile trattenere il suo capitano controvoglia per un’altra stagione. La stessa volontà che spinge Rossi lontano dal Madrigal e sempre più vicino al Camp Nou.

Cesc Fabregas. Il 2011 potrebbe essere l'anno giusto per il suo ritorno a casa

 

Il Barça può arrivare anche a lui grazie alla criticatissima sponsorizzazione ottenuta dalla Qatar Foundation. Almeno aver rinunciato all’eleganza di una maglia senza loghi pubblicitari escluso quello dell’Unicef avrà i suoi effetti positivi, e per far dimenticare quella brutta scritta davanti, Rosell ne vuole piazzare tre dietro: Sanchez, Rossi e Fabregas.

Un esordio così forse lo aveva sognato. Giampaolo Pazzini, l’acquisto d’emergenza del mercato invernale dell’Inter, arrivaa San Siro ed è subito eroe. Non tutti erano d’accordo sul fatto che fosse il giocatore giusto per i campioni d’Italia, per alcuni il suo ingaggio era più un dispetto alla Juve che una reale necessità di Leonardo. E invece Moratti ha già vinto la sua scommessa.

Pazzini è stato un ottimo affare. Innanzitutto, ed è piuttosto evidente, perché in appena 45 minuti ha trasformato una sconfitta in una vittoria con due gol e un rigore procurato, e poi perché nel prenderlo l’Inter è riuscita a liberarsi di un peso morto come Biabiany.

Il Pazzo ha preso il 7, lo stesso numero che sta sulle spalle del capocannoniere del campionato Edinson Cavani. L’uruguaiano ieri ne ha fatti tre, segnando anche su rigore in una giornata in cui tutti gli altri, dal dischetto, sbagliavano. In totale ora sono 17, in 22 partite di campionato, 24 contando anche le Coppe. E ha 23 anni ed è praticamente alla stagione d’esordio nel ruolo di prima punta. Il Napoli ha capito il suo potenziale e ha deciso di migliorare la squadra lì dove ancora fa un po’ d’acqua. In difesa è arrivato Victor Ruiz, ne parleremo parecchio.

E se le prime tre rilanciano, qualcuno già smobilita. La Samp in un mese ha più che dimezzato il suo potenziale, regalando prima Cassano al Milan e poi cedendo Pazzini all’Inter. Ora in attacco c’è un giovane di prospettiva, ma ancora immaturo come Macheda, e una seconda punta che non è mai andato oltre i 13 gol in un campionato come Maccarone. Un po’ poco per confermare ambizioni che nemmeno un anno fa avevano portato i liguri a giocarsi il preliminare di Champions League, ma abbastanza per fare una figuraccia proprio al San Paolo contro il Napoli dell’ex Mazzarri.

In mezzo sta chi prova a conservare quel che ha di buono. Il Cagliari respinge gli assalti a Lazzari e Matri, almeno fino a giugno, ma se dovesse arrivare un’offerta irrinunciabile l’attaccante di Lodi potrebbe lasciare la Sardegna direzione Juventus. Cellino ne vuole 18, sembrano un po’ troppi, ma la disperazione dei bianconeri, che a gennaio hanno già perso Pazzini, Dzeko, Adebayor e Cassano, potrebbe colmare il gap che separa la richiesta dall’offerta. C’è tempo fino alle 19, poi se ne riparla a giugno.

Che il Barça non sia più quello che due anni fa incantò il mondo vincendo tutto quello che poteva vincere è cosa ormai nota ed evidente, quali siano le cause di questo leggero calo è un po’ più complesso da spiegare. Certo, è vero che chi affronta il Barcellona oggi è più preparato che nella stagione 2008/09, perché tutti ormai conoscono lo stile Guardiola e nessuno è così fesso da non capire come provare a fermarlo. C’è un elemento di bravura degli altri, dunque, ma è qui che entrano in gioco i limiti strutturali dei catalani.

Il calcio fatto di possesso palla prolungato e verticalizzazioni o giocate personali improvvise paga fino a un certo punto, quando di fronte si hanno squadre che schierano otto giocatori dietro la linea del pallone. È lì che bisognerebbe cercare la conclusione da fuori  o allargare il gioco sulle fasce per andare al cross dal fondo. Tutte cose che il Barça non sa fare. In principio lo capì solo Gus Hiddink, poi Mourinho, ora lo sanno tutti, e anche Hercules e Copenaghen riescono a fare la loro ottima figura contro l’equipo invencible. Limiti che il Barça ha un po’ perché così si piace (è di oggi la dichiarazione di Piqué «moriremo col nostro stile»), e un po’ perché ha una rosa corta e decisamente poco polifunzionale.

Mancano i tiratori dalla distanza, perché né Xavi, né Iniesta, né tantomeno Busquets e Mascherano lo sono. Lo sono un po’ Messi, Pedro e Villa, ma resta comunque poco. Lo è Daniel Alves, ma gioca troppo defilato. Manca un centravanti vero, che superi il metro e settantacinque di David Villa e sia abile nel gioco aereo. Ibra aveva i centimetri, ma non il colpo di testa, el Guaje ha il secondo, ma gli mancano i primi.

Che a questo Barça manchi qualcosa lo sanno i tifosi, che da tempo si lamentano per la bassissima statura media della squadra, ma lo sanno anche Guardiola e Zubizarreta, che lavorano per migliorare l’organico. Lo sanno ma non è detto che abbiano le idee chiare su dove bisogna mettere mano. I nomi di Fabregas, Pastore, Silva e Bale sono tutti di primissimo piano, specialmente il primo e l’ultimo dell’elenco, ma tra questi manca quello che possa alzare (in tutti i sensi) il gioco del Barcellona. Manca quello di Dzeko, ad esempio, uno che ha centimetri (192), chili (80) e piedi ottimi (sono solo due, ma piuttosto lunghi e delicati). Uno come lui al Camp Nou ci starebbe benissimo, uno come lui starebbe benissimo in qualsiasi stadio. Ecco su chi dovrebbe puntare il Barça, ecco quale dovrebbe essere il primo nome della lista di Guardiola e Zubi. Senza uno così, dei cross di Bale, te ne fai ben poco.

Secco secco, con le occhiaie e quello sguardo un po’ stralunato, a vederlo non si direbbe un grande atleta. E invece Javier Pastore ha talento da vendere. Paragonato spesso a Zidane per classe e visione di gioco, rispetto al francese è più veloce, precoce e efficace sotto porta, e a 21 anni ha già giocato quattro partite con la nazionale argentina, con la quale ha disputato anche gli ultimi mondiali in Sudafrica. Portato in Italia dal Palermo, che lo ha prelevato dall’Huracan per 8 milioni di dollari, dopo un campionato argentino vinto e nonostante la concorrenza di Milan, Chelsea, Manchester United e Porto, ora è seguito dalle grandi d’Europa, Inter, Real Madrid e Barcellona in testa.

Mourinho lo conosce e lo vorrebbe in Spagna per completare la sua squadra di fenomeni con Cristiano Ronaldo, Mesut Ozil e il suo connazionale Higuain, ma Pastore sembra preferire Lionel Messi, e il Barcellona è pronto a offrire addirittura 40 milioni per prelevare il suo cartellino dal Palermo. A una cifra del genere, per Zamparini, sarebbe veramente impossibile dire no, e Pastore diventerebbe il primo obiettivo del prossimo mercato estivo per il Barcellona, scavalcando addirittura Fabregas.

Lui ha voglia di misurarsi su scenari importanti come la Champions League, e anche l’Inter può dargli questa possibilità, col valore aggiunto di una permanenza in un campionato che già conosce e nel quale si è ambientato alla perfezione. Certo che in nerazzurro dovrebbe fare i conti con la concorrenza di Wesley Sneijder, mentre in blaugrana sarebbe costretto a spostare il suo raggio d’azione decentrandosi sulla fascia sinistra.

Avrà un anno di tempo per riflettere sul suo futuro, senza dimenticare di essere ancora e a tutti gli effetti un giocatore del Palermo, del quale indosserà la maglia per tutta la stagione e col quale cercherà di togliersi ancora tante soddisfazioni in campionato e in Europa League. Poi farà il biglietto e salirà su un aereo che lo porterà lontano da Punta Raisi. La destinazione è ancora ignota, ma per il Flaco c’è solo l’imbarazzo della scelta.

A 17 anni lo vogliono tutte le grandi d’Europa, e non potrebbe essere altrimenti. Romelu Lukaku è già titolare della nazionale belga e l’anno scorso ha realizzato 19 reti nella Jupiler League con la maglia dell’Anderlecht. È alto 192 cm e pesa 94 kg e nonostante questo è dotato di una progressione impressionante, di grande facilità di dribbling e di un tiro preciso e potente con entrambi i piedi. Real, Inter e Chelsea l’hanno inseguito durante l’estate, ma lui ha scelto di restare a Bruxelles ancora per un po’, e ora bisognerà attendere gennaio per la riapertura della caccia.

Secondo quanto riportato in prima pagina oggi da Tuttosport, su Lukaku si sarebbero inseriti anche la Juventus e il Barcellona, ma il giocatore sembra avere una predilezione per Madrid e per José Mourinho. Non lo preoccupa la concorrenza, conosce le sue qualità e sa di avere il tempo dalla sua, ha voglia di imparare, crescere ancora e migliorare negli aspetti tecnici in cui può e deve farlo, come il colpo di testa. È un ragazzino che ragiona da adulto, la nemesi di Mario Balotelli, a cui assomiglia per caratteristiche tecniche e atletiche, forse ancora più che a Drogba o Adebayor.

Potente, agile, veloce, tecnico, giovane. Lukaku incarna il centravanti che tutti vorrebbero avere ma che pochi possono permettersi. Non tanto per il costo del suo cartellino, quanto per le ambizioni del giocatore, che potrebbe lasciare l’Anderlecht solo per andare a vincere tutto. Per questo la candidatura della Juventus appare decisamente più debole di quelle di Real, Chelsea, Inter e Barcellona, se non altro perché i bianconeri non possono mettere sul piatto della bilancia né la Champions League, né tanto meno Cristiano Ronaldo, Lampard, Sneijder o Messi. Se c’è una speranza di vedere Lukaku in Italia, quella è rappresentata dall’Inter, altrimenti dovremo accontentarci di ammirarlo nei martedì o nei mercoledì di Coppa.

I GOL DI LUKAKU

La serie A torna al centro del mondo calcistico, o almeno ci si riavvicina di molto. Il merito è dell’Inter, certo, e dei trofei conquistati la scorsa stagione, ma è anche di un’estate di mercato finalmente all’altezza della tradizione del calcio italiano. La Juve si è rifatta completamente il look, privilegiando forse la quantità dei nuovi ingaggi alla loro qualità, mentre Roma e Milan hanno portato pochi ma incisivi cambiamenti.

E se la Roma ha trovato il suo imperatore, la regina del mercato non può che essere il Milan. I rossoneri hanno azzeccato tutti i colpi, in entrata e in uscita, riuscendo a regalare ad Allegri quello che è probabilmente il più forte attacco del mondo, e sbarazzandosi di due giocatori che ormai erano diventati pesi morti, come Borriello e Huntelaar.

Pato, Robinho, Ronaldinho e Ibrahimovic, roba da mettere paura anche al Barça, che dello svedese ha voluto liberarsi a tutti i costi, al punto dal cederlo per meno della metà di quanto l’aveva pagato appena un anno fa e a condizioni decisamente vantaggiose per il Milan. Quattro nomi, quattro prime donne, giocatori destinati, in un modo o nell’altro, a giocare tutti insieme. Nessuno di loro accetterebbe infatti di buon grado la panchina e gli ultimi arrivati sono due teste calde che già in passato hanno dato più di qualche grattacapo alle loro società.

Il problema ora è tutto di Allegri, che dovrà inventarsi un equilibrio tattico all’apparenza impossibile da trovare. I tre brasiliani e lo svedese sono giocatori poco inclini alla fase difensiva e alle loro spalle il peso della copertura della difesa graverà tutto su Ambrosini, considerando che Pirlo non è certo il principe degli incontristi. Il Milan dovrà votarsi a qualche santo, poi, affinché né Nesta né Thiago Silva abbiano mai anche solo un raffreddore, mentre sulle fasce il piatto continua a piangere. Allora forse, quei 42 milioni utilizzati per acquistare Ibra e Robinho, potevano servire per un terzino e un centrale di buon livello, o magari per irrobustire la linea mediana, che incomincia a soffrire di un Gattuso un po’ più arrugginito che in passato.

Ma d’altra parte coi terzini e i centrali non si vendono né magliette né abbonamenti, e ancora meno si vincono le elezioni. Meglio Ibra e Binho dunque, meglio caricare l’ambiente d’entusiasmo rischiando magari di scoprire che la coperta è troppo corta e i piedi prendono freddo. I tifosi si sfregano le mani e sognano, Abbiati, invece, trema.

Un’estate di voci e smentite, di reciproche dichiarazioni d’amore palesemente ipocrite e di incomprensioni tecniche ma soprattutto umane. Ibrahimovic non era il giocatore migliore che il Barça potesse inserire nel gioco di Guardiola, ma nonostante tutto, chi ci guadagna di più in tutta questa vicenda è senza dubbio il Milan. Perché Zlatan è un fenomeno di quelli veri, capaci di ribaltarti una partita in un amen, come riuscì a fare al Camp Nou nella gara di andata contro il Real Madrid.

Non credete a chi vi dice che Ibra, come al solito, non è stato decisivo nella sua unica stagione in blaugrana. Fino a gennaio lo svedese è stato perfetto, fondamentale, a tratti anche più importante di Messi. Meno spettacolare e acrobatico dell’Ibra visto in Italia con la maglia dell’Inter, ma forse ancora più abile sotto porta. Poi, dopo il mondiale per club e la sosta invernale, il black-out. La stella di Ibra è stata offuscata da quella di un Messi stratosferico, e l’aver perso lo status di prima donna che in nerazzurro era sempre stato suo ha “depresso” lo svedese.

Il Camp Nou ha iniziato a fischiarlo e Guardiola, piano piano, si è convinto che quel centravanti, non era ciò che serviva al suo Barça. Ibra non ha segnato quanto Eto’o l’anno prima, non ha vinto la Champions e la Coppa del Re, ma è pur sempre stato parte di una squadra che ha vinto la Liga con 99 punti, il secondo marcatore della squadra con 16 gol in 29 partite di campionato. Portano la firma di Ibra i 3 punti che hanno separato, alla fine della fiera, il Barça dal Real Madrid, i 3 punti che lo stesso Zlatan, ha regalato ai catalani nella gara del Camp Nou contro i rivali della Casa Blanca, pochi istanti dopo essersi alzato dalla panchina.

Ibra non ha fallito al Barça, anche se non ha avuto ciò per cui aveva lasciato Milano. Dirlo sarebbe ingiusto e miope, falso e ingrato. Ma Ibra non poteva restare al Barça, non poteva perché il rapporto con Guardiola era ormai irrimediabilmente compromesso, e la voglia di giocare con Messi completamente svanita. Non poteva restare perché sarebbe stato un problema, per lui e per il Barcellona. Forse Ibra ha scelto il Milan, forse non aveva grande possibilità di scelta per rilanciarsi. Tornare a Milano, tornare in Italia, una città e un campionato che conosce troppo bene e che ha già dominato per 5 anni di fila.

24 milioni in tre anni, tanto il Milan pagherà il suo cartellino al Barça. Niente per uno come lui, uno che sa fare la differenza anche se è antipatico, uno che sa vincere anche se non sembra e anche se sembra essere perseguitato dalla maledizione europea. Ibra non ha mai vinto la Champions League, ma ha conquistato gli ultimi sette campionati nazionali che ha giocato: uno in Olanda, cinque in Italia, uno in Spagna. Al Milan sgangherato degli ultimi anni, tanto per ricominciare, lo scudetto potrebbe pure bastare.

IBRA, UN ANNO IN BLAUGRANA

Il passaggio di Ibrahimovic dal Barcellona al Milan ora non sembra più impossibile. Galliani e Berlusconi lo vogliono, Rosell, Guardiola e Zubizarreta non si strappano certo i capelli per tenerlo, e allora se ne può parlare e se ne parlerà. Il Barça avrebbe ottimi motivi per cedere il campione svedese, ma ne avrebbe forse ancora di più per non farlo, perlomeno alle condizioni proposte dal Milan.

Ibra ormai sembra un intruso sul terreno del Camp Nou, se mai è stato veramente dentro le dinamiche di gioco blaugrana. Il suo modo di giocare rallenta i ritmi di una squadra che fa della velocità di tocco e degli inserimenti rapidi la sua migliore arma offensiva. Ibra tiene troppo il pallone prima di scaricarlo verso un compagno o verso la porta, consente alla difesa di risistemarsi, e se fornisce un punto di riferimento costante e importante per i compagni di squadra, fa altrettanto con gli avversari. La qualità del gioco espressa dal Barcellona nel finale della scorsa stagione e nel ritorno della Supercoppa di Spagna contro il Siviglia, sempre senza Ibrahimovic in campo, è la chiara dimostrazione del teorema dell’incompatibilità del numero 9 col resto della squadra.

Per questo Guardiola gli preferirà un attacco agile e rapido, composto da Messi, Pedro e Villa, e non è detto nemmeno che Ibra venga prima di Bojan nelle gerarchie che l’allenatore catalano ha in mente. Dodici milioni sembrano davvero troppi per una riserva, per il quarto o quinto uomo di un attacco a tre, e allora forse è meglio liberarsi di lui, anche se questo vuol dire ammettere il grave errore compiuto un anno fa nell’ingaggiarlo. Operazione resa un po’ più semplice dal fatto che a ingaggiare Ibra furono il vecchio presidente Joan Laporta e il vecchio direttore sportivo Txiki Beguiristain.

Il problema è che quello che il Milan offre non è conveniente nemmeno un po’. I rossoneri non hanno le capacità finanziarie per rilevare il cartellino dello svedese, né tanto meno per pagare il suo ingaggio. Per questi motivi sono pronti a offrire uno scambio di prestiti, mettendo sul piatto della bilancia Marco Borriello, e chiedono al Barça di pagare metà dello stipendio di Ibrahimovic, circa 6 milioni di euro.

Borriello non può interessare, per il semplice fatto che se Ibrahimovic è troppo lento per il gioco di Guardiola, il centravanti italiano lo è altrettanto, con l’ulteriore difetto, certamente non da poco, di non possedere nemmeno un quarto della classe di Ibra. Borriello rischierebbe quindi di essere per il Barça un corpo ancora più estraneo di quanto non lo sia stato Zlatan nella passata stagione. Inoltre continuare a pagare 6 milioni di euro per un giocatore che non può nemmeno scendere in campo quando il suo allenatore lo ritiene opportuno sarebbe un’autentica follia, uno spreco di soldi completamente insensato.

Galliani e Rosell si incontreranno mercoledì, in occasione del trofeo Gamper, guarderanno la partita insieme dopo aver mangiato qualcosa al Ca l’Isidre, uno dei migliori ristoranti di Barcellona. Parleranno anche di Ibrahimovic, sicuramente, ma cena e discorsi rischiano di rimanere fini a sé stessi, poco più di un incontro cordiale tra colleghi che si rispettano, forse anche troppo per continuare a prendersi in giro con trattative di mercato irrealistiche e ridicole.