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A volte bastano 90 minuti per scoprire di aver sbagliato tutto, di essere stati convinti che le cose fossero cambiate mentre erano rimaste praticamente uguali. Non è cambiato niente, i rapporti di forza tra Real Madrid e Barcellona sono sostanzialmente gli stessi di un anno fa, nettamente sbilanciati in favore dei catalani.

E questo al di là di una classifica che continua a dire il contrario (la squadra di Mourinho deve recuperare una partita), e dello scontro diretto di ieri sera. La dimostrazione di forza degli uomini di Guardiola non sta tanto nel successo di ieri, ma nel come è maturato. Se il Real non riesce a vincere nemmeno quando gioca in casa e va in vantaggio dopo 20 secondi per gentile omaggio della difesa avversaria, allora si fa veramente dura per la Casa Blanca.

Il Barcellona ha dimostrato la sua superiorità nella gestione della partita e della rimonta: mai in affanno, mai di fretta, sempre a cercare di sviluppare la manovra secondo la sua identità, e alla fine ce l’ha fatta. È la serenità della squadra di Guardiola a fare la differenza, più ancora dei valori tecnici in campo. Una serenità figlia di una serie positiva impressionante: l’ultimo successo del Real in campionato risale al 2008, prima dell’era Guardiola, e l’1-0 nella finale di Coppa del Re nella scorsa stagione è maturato oltre il novantesimo, nei tempi supplementari).

Certo, anche l’allenatore catalano ci ha messo del suo ieri, vincendo il duello tra le panchine in maniera ancora più evidente che in passato. Le scelte iniziali (Sanchez in campo, Villa e Pedro in panchina) e il cambio di modulo sono opera sua, e nessuno può toglierli i meriti che ha. Se poi ci si mette pure la fortuna, che spesso in passato è stata dalla parte di Mou, allora è davvero finita.

Il resto della partira racconta drlcsolito dominio territoriale del Barcellona, di un Cristiano Ronaldo incredibilmente sprecone e svogliato, di un Iniesta sontuoso e di un Puyol meraviglioso. La macchina di Guardiola è così perfetta in ogni suo ingranaggio che Messi può concedersi una serata normale per i suoi standard, in cui comunque riesce a regalare un assist per Sanchez.

Il gol del cileno, insieme a quello di Fabregas, completano il quadro trasformando la vittoria della squadra nella vittoria di tutto il club, premiato per le scelte fatte nel mercato estivo.

Insomma, il Barcellona è ancora più forte del Real, ad ogni livello. Sul campo come nei quadri societari, in panchina come nella convinzione psicologica. Il campionato è lungo e il Real può ancora vincerlo, ma il confronto diretto ha già dato la sua sentenza.

Alexis Sanchez è sempre più vicino al Barcellona

Nel calcio italiano i miracoli hanno un nome e un cognome: Giampaolo Pozzo. Il patron dell’Udinese ha costruito un gioiello partendo dal nulla, con competenza, intelligenza amministrativa e pazienza come unici ingredienti. Al Friuli lo sanno bene e il preliminare di Champions League appena conquistato lo dimostra. Quello che forse pochi sanno è che Pozzo, da qualche anno, ha deciso di esportare il suo miracolo portandolo in Spagna. Nell’estate del 2009 la sua famiglia ha rilevato la maggioranza del pacchetto azionario del Granada, portandolo in due anni dalla Segunda B (la serie C spagnola) alla Primera Division. La promozione è arrivata ieri, dopo il pareggio per 1-1 sul campo dell’Elche, con un gol, manco a dirlo, di Odion Ighalo, in prestito dall’Udinese. L’anno prossimo il Granada di Pozzo affronterà il Barcellona e il Real Madrid.

Barcellona e Real che potrebbero essere rivali di Pozzo anche in Europa, dove l’Udinese ha tutte le intenzioni di fare una bella figura. Anche senza Alexis Sanchez, che giocherà al Camp Nou. La trattativa per portare il Niño Maravilla in blaugrana è in dirittura d’arrivo. L’offerta del Barça è di 28 milioni subito, più 11 legati al rendimento del giocatore, qualcosa di molto vicino ai 40 chiesti da Pozzo per privarsi di Sanchez, una cifra che ha spiazzato la concorrenza di Manchester United e Manchester City e spento le residue speranze di Inter e Juventus. Alexis affronterà da avversario chi l’ha portato nel calcio, lo farà in campionato e forse anche in Champions League.

Per sostituirlo l’Udinese prenderà Pablo Piatti. La Liga Adelante è troppo stretta per il talento argentino dell’Almeria, che potrebbe arrivare al Friuli per una cifra intorno agli 8 milioni. Piatti è un mancino con buon dribbling, rapido e tecnico, ha 22 anni e in Spagna ha segnato 20 gol in 101 partite. Può giocare su entrambi gli esterni o dietro le punte, e ha conquistato il mondiale under 20 del 2007 con l’Argentina. Qualcuno, con un esercizio di grande equilibrismo logico, l’ha paragonato a Messi, ma si tratta comunque di un ottimo giocatore con profilo Udinese.

Se Pozzo lo portasse in Italia concluderebbe un buon affare, come buoni, anzi ottimi, sarebbero anche i 40 milioni incassati per Sanchez. I tifosi stiano tranquilli: il miracolo Udinese continuerà, magari anche senza Niño Maravilla.

IL TALENTO DI PABLO PIATTI

Alexis Sanchez è sempre più vicino al Barcellona

Sanchez più Rossi. E poi magari Cesc. Il piano del Barcellona è questo: i tre giocatori sono in cima alla lista dei desideri di Guardiola e il nome del Niño Maravilla non è alternativo a quello di Pepito. Pep, quello grande, li vorrebbe entrambi, per comporre con Villa, Messi e Pedro quello che sarebbe senza ombra di dubbio l’attacco più basso e forte del mondo. Ecco perché l’Udinese dice che il Barça è in vantaggio per Sanchez e allo stesso tempo Federico Pastorello, procuratore di Rossi, si incontra con Zubizarreta.

L’ipotesi che il Barcellona prende entrambi gli attaccanti è da tempo sui giornali spagnoli, soprattutto su quelli catalani, mentre in Italia viene ritenuta più impossibile che improbabile. Così Inter e Juventus si sono convinte che, se proprio Sanchez sarebbe andato in Catalogna, sarebbero rimaste in due a contendersi Rossi. Il rischio invece è che Rosell metta a segno il doppio grande colpo, soffiando entrambi alla concorrenza italiana. L’operazione non è semplice, ma nemmeno impossibile. Il Barcellona ha offerto 30 milioni più Bojan all’Udinese, un’offerta difficile da rifiutare, tenendo conto anche della volontà di Sanchez di lasciare il Friuli.

Giuseppe Rossi. Il Barcellona non rinuncerà a lui nemmeno se dovesse arrivare Sanchez

Su questo il Barça sembra voler premere per convincere il Villareal a cedere Pepito, ed è probabilmente di questo che avranno parlato oggi Zubizarreta e Pastorello. Rossi deve lanciare un segnale forte: se vuole il Barça deve dirlo chiaramente. Il tempo dei silenzi, dei “forse” e dei “vedremo” è finito, ora tocca a lui fare la sua mossa. Per lui Rosell è disposto a pagare una ventina di milioni, inserendo magari una contropartita tecnica: Jeffren o Afellay.

C’è poi il caso Fabregas, e non c’è estate che si rispetti senza che si ripeta la stessa identica telenovela. Lui vuole il Barcellona ancora più di quanto il Barcellona voglia lui, Rosell vorrebbe esaudire i suoi desideri più di quanto non voglia fare Wenger, gli stessi tifosi blaugrana sono decisamente meno entusiasti all’idea di un suo arrivo di quanto non siano disperati quelli dell’Arsenal all’idea di perderlo. Come l’anno scorso il Barça non andrà oltre i 35 milioni, consapevole anche del fatto che per Wenger sarà più difficile trattenere il suo capitano controvoglia per un’altra stagione. La stessa volontà che spinge Rossi lontano dal Madrigal e sempre più vicino al Camp Nou.

Cesc Fabregas. Il 2011 potrebbe essere l'anno giusto per il suo ritorno a casa

 

Il Barça può arrivare anche a lui grazie alla criticatissima sponsorizzazione ottenuta dalla Qatar Foundation. Almeno aver rinunciato all’eleganza di una maglia senza loghi pubblicitari escluso quello dell’Unicef avrà i suoi effetti positivi, e per far dimenticare quella brutta scritta davanti, Rosell ne vuole piazzare tre dietro: Sanchez, Rossi e Fabregas.

Cambiatele le strisce e colorategliele di azzurro e granata. L’Udinese come il Barcellona e forse anche meglio. Perché la rosa a disposizione di Guidolin non è esattamente quella di Guardiola e perché il Palermo non è l’Almeria. Il 7-0 del Barbera è un record per il campionato italiano, sicuramente in trasferta, probabilmente anche in senso assoluto. Come l’8-0 dei blaugrana allo Stadio dei Giochi del Mediterraneo, quello che fece dire a Cristiano Ronaldo “vediamo se ce ne fanno otto”.

E a ben vedere l’Udinese al Barça ci assomiglia davvero. Ci assomiglia perché, come Guardiola, Guidolin gioca con un attacco veloce, leggero e tecnico, sacrificando l’efficacia sulle palle alte per garantirsi ripartenze micidiali e un tasso di spettacolarità altissimo. Ci assomiglia perché ha un centrocampo che solo un osservatore superficiale potrebbe definire “muscolare”. Inler, Asamoah e Pinzi corrono e picchiano, ma costruiscono pure molto bene. Armero e Isla sono poi due tra gli esterni migliori di un campionato che ne ha sempre di meno. A dirla tutta l’Udinese è la squadra che gioca meglio in un campionato in cui si gioca sempre peggio.

E anche Guidolin ha il suo piccolo Messi. È Alexis Sanchez, il niño maravilla che alla sua terza stagione italiana ha trovato maturità e consacrazione definitive. Lui, talento purissimo già dai tempi del Colo Colo e del River Plate, ora ai dribbling ha aggiunto i gol e gli assist e finalmente ha imparato a fare la differenza. Ecco perché quest’estate le grandi d’Europa se le daranno di santa ragione per strapparlo ai Pozzo. Chelsea, City, Real Madrid, magari ci si mette pure il Barcellona, la squadra che forse meglio di tutte può sfruttare le potenzialità di Sanchez.

E sarebbe bello l’anno prossimo, presentare all’Europa un’italiana che, incredibile ma vero, gioca un bel calcio. Sarebbe bello ma non è semplice, perché in fondo l’Udinese non è il Barcellona e Sanchez non è Messi. In compenso Di Natale è Di Natale ed è arrivato a un punto della sua carriera in cui non ha più alcun bisogno di paragoni con nessun altro. L’Udinese ancora no, ma è sulla strada giusta: sempre meno imitatrice di un modello, sempre più modello da imitare.

Ci sono due squadre in Italia, accomunate da sempre dai colori della maglia, e adesso anche da una posizione di classifica difficile e imprevista. Juventus e Udinese, due bianconeri diversi, certo, per storia e ambizioni, ma comunque due società che hanno segnato, nel bene e nel male, la storia degli ultimi 20 anni di serie A. Ora la Juve vede l’Inter da molto lontano (sei punti di distacco dopo appena quattro partite), mentre l’Udinese, fanalino di coda, inizia a fare i conti con quell’ultimo posto a quota zero che fa tanta paura.

Delle due bianconere è proprio l’Udinese quella che se la passa peggio, alle prese con quello che sembra un declino avviato già l’anno scorso, un viale del tramonto lungo e difficile da percorrere. La squadra che ha dato al calcio italiano Marcio Amoroso e Gokhan Inler, e che ha fatto spiccare definitivamente il volo a giocatori come Oliver Bierhoff e Antonio Di Natale, sembra essersi spenta, incapace di ritrovare i risultati, il gioco e i punti che qualche anno fa la portarono fino alla Champions League.

La roulette russa dei Pozzo, fatta di ingaggi di giocatori sconosciuti e cessioni di campioni già formati, sembra essere giunta ora al suo ultimo giro, a quella pallottola fatidica che può bucare uno dei giocattoli più belli che abbia mai visto la serie A. Cosa è successo all’Udinese? Possono le ultime cessioni di Pepe e D’Agostino spiegare un tracollo così netto? E che ne è di Antonio Di Natale, il capocannoniere dello scorso campionato? Perché Alexis Sanchez, il niño maravilla di cui nessuno mette in dubbio le qualità tecniche, non riesce a compiere definitivamente la sua maturazione?

Domande che certamente frullano nella testa di Guidolin e in quelle di tutti i tifosi friulani, che attendono risposte dal campo, magari già dalla sfida di domenica in casa della Sampdoria. Perché ritrovarsi ancora ultimo, a zero punti, dopo cinque giornate di campionato, potrebbe rappresentare una botta troppo dura da assorbire, anche per un pugile che sta orgogliosamente in piedi sul ring della serie A da 15 anni. E anche uno come Guidolin, che ha scalato in bicicletta lo Zoncolan e il Mortirolo, potrebbe trovare questa salita troppo dura per le sue gambe, o magari essere lasciato a piedi dalla sua ammiraglia, alla disperata ricerca di un grimpeur capace di arrivare, se non fino alla cime della montagna, almeno quattro posizioni sopra il fondovalle.