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Otto anni fa la Corea diede un bruttissimo dispiacere allo sport italiano, col golden gol di Ahn e l’eliminazione dell’Italia di Trapattoni dai mondiali di calcio. Oggi, invece, quello stesso Stato dell’estremo oriente asiatico, ha dato un piccolo grande risarcimento a noi tutti, un risarcimento che viaggia su quattro ruote e con una bellissima carrozzeria rosso fiammante.

Yeongam ha ospitato il sorpasso di Fernando Alonso ai danni di Mark Webber, nella classifica del mondiale di formula uno, complici anche il ritiro dell’australiano e quello del suo compagno di scuderia Sebastian Vettel, riportando la Ferrari in testa al mondiale e regalando una speranza grande come una casa quando mancano solo due gran premi al termine della stagione.

Il pilota spagnolo ha così coronato una rincorsa lunga quasi una stagione, recuperando un handicap pesantissimo e realizzando un’impresa in cui pochi avrebbero creduto. Fortunato, sì, ma anche un vero fenomeno. Alonso è l’unico pilota, oggi, in grado di fare la differenza oltre il mezzo. Perché la Ferrari non è certo la vettura migliore del campionato (e a dimostrarlo ci sono i risultati ben più deludenti di Massa), ma Fernando, lui sì, è il pilota migliore. Dimostrazione palpabile che l’uomo, in Formula 1, può ancora fare la differenza, se è un vero campione.

Alonso ora non può più lasciarsi sfuggire il mondiale, perché non fare 31 dopo aver fatto 30 sarebbe un vero peccato. Dovrà stare attento alle Redbull e a Lewis Hamilton, e avrà dalla sua Felipe Massa, tutta l’Italia e un gran pezzo di mondo. Perché la Ferrari è sempre la Ferrari, per chi la guida come per chi la ama, e anche se il suo rosso brilla un po’ meno di qualche anno fa, resta sempre un gran bel rosso passione.

Anche i migliori invecchiano e prima o poi vengono superati da qualcuno più giovane e forte. Se sono fortunati riescono a ritirarsi da numeri 1, come successo a Lance Armstrong. Sette Tour de France consecutivi prima di salutare tutti nel 2005. Una carriera semplicemente unica: nessuno mai ha vinto la Grand Boucle così tante volte. Quattro anni d’assenza e poi il ritorno, nel 2009, per partecipare al Giro d’Italia, ma soprattutto per vincere l’ottavo Tour.

Nel frattempo però gli anni erano passati, le gambe non erano più quelle di prima e gli avversari nemmeno. Troppo forte Alberto Contador, suo compagno di squadra all’Astana. L’anno scorso Lance arrivà terzo, alle spalle dello spagnolo e del lussemburghese Andy Schlek. Comunque niente male per uno che non correva da quattro anni, tanto da ingolosirlo e spingerlo a provarci un’altra volta nel 2010.

La storia di quest’anno è fresca. Il Tour si è chiuso ieri, Armstrong è arrivato ventitreesimo, a quasi 40 minuti da Contador. Non è mai stato dentro la lotta, ha subito pesanti umiliazioni in montagna e a cronometro, non ha vinto nemmeno una tappa. Era il suo ultimo Tour, stavolta per davvero, ma la sua presenza non si sarebbe nemmeno notata non fosse stato per il suo personaggio e i pesanti sospetti lanciati su di lui dall’ex compagno di squadra Floyd Landis. Armstrong lascia così, quasi in silenzio.

Se si fa eccezione per Michael Jordan, i ritorni non portano mai troppo bene, e se ne sta rendendo conto anche Michael Schumacher. Solo nono a Hockeneim, nel Gran Premio di casa sua, ancora nono in classifica generale, quasi sempre dietro al compagno di scuderia Nico Rosberg. Il richiamo delle corse l’ha sentito 3 anni dopo aver abbandonato la Formula uno, un addio arrivato dopo aver lasciato il trono e lo scettro del suo regno a Fernando Alonso. Battuto due volte in pista nelle ultime due stagioni (un terzo e un secondo posto generale), Schumy aveva deciso di chiudere con le auto e divertirsi con le moto. Poi l’incidente di Massa e la prospettiva di tornare l’hanno ingolosito, la Mercedes ha fatto il resto, offrendogli un contratto a cui era difficilissimo dire di no. Così Schumy è tornato, molto più lento di una volta. In affanno sotto il peso dei suoi 41 anni, molti più di quelli di Hamilton, Vettel e Alonso, troppi perfino per una leggenda.

Armstrong e Schumy avevano chiuso la carriera da invincibili o quasi, allora perché sono tornati? La voglia di essere ancora i migliori, la superbia del campione che crede di essere invincibile, l’arroganza del Re che non capisce che il suo regno è tramontato. Hanno sfidato la carta d’identità e la biologia e hanno perso. Sì, si può essere immortali, ma solo nella memoria.