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Il Real Madrid offre la Coppa del Re al Santiago Bernabeu, e la permanenza in Liga al Real Zaragoza. Dopo lo Sporting Gijon anche la squadra di Aguirre trova tre punti importantissimi in chiave salvezza a Chamartìn. La vittoria del Real sul Real porta la firma di Angel Lafita ma anche quella di José Mourinho, che manda in tribuna Cristiano Ronaldo un po’ per turn-over e un po’ per punizione, e in panchina Marcelo, Di Maria e Ozil. In Aragona ringraziano, ma alla Casa Blanca non avranno gradito.

Perché sarà pur vero che la rimonta in Champions League è un po’ meno impossibile di quella in campionato, ma abdicare prima che la matematica sentenzi la sconfitta non è certo da grandi. E il primo tempo del Real è davvero troppo brutto per pensare che le merengues ci credano ancora. Rinunciare alla lotta non è nel dna del Real Madrid, non è nemmeno da calcio spagnolo, è invece, ci perdoni Stanis La Rochelle per la citazione non autorizzata, un filo troppo “italiano”.

E non sarà contento nemmeno Jorge Valdano, uno che con la camiseta blanca ha vinto due titoli da giocatore e uno da allenatore, e a cui oggi è stato interdetto l’accesso agli spogliatoi della squadra di cui è ancora direttore tecnico. La guerra con Mou è sempre più aspra, e se prima Florentino Perez sembrava totalmente dalla parte del suo Special One, non è detto che non possa cambiare idea se a fine stagione i milioni spesi per l’ingaggio di José dovessero portare soltanto una Coppa del Re.

La verità è che Mou non piace a tutti nella società, non piace per niente alla stampa, e dopo la sconfitta per 2-0 nell’andata della semifinale di Champions League piace un po’ meno anche ai tifosi. Come se non bastasse il suo gioco ultra-difensivo sembra aver stufato anche Cristiano Ronaldo, e le sue dichiarazioni contro il “potere forte” del Barça sono piaciute pochissimo pure all’Uefa e all’Unicef, chiamato direttamente in causa come strumento di pressione per ottenere risultati migliori.

Allora ecco che la pre-iscrizione dei figli a Lugano assume un nuovo significato, e i tifosi interisti sono autorizzati a sognare il ritorno. Perché in Italia il catenaccio non è mai stato reato e le mancanze di rispetto a giornalisti e avversari sono semplice folklore, diversivi di un incurabile guascone perfetti per spezzare la noia del nostro campionato. José lo sa perché l’ha provato, e sotto sotto ci pensa già da un po’. Forse un anno gli è bastato per capire che “Milano è megl e Madrid”.

Sabato in campo e domenica libera per tutti, ma qualcuno festeggerà la Pasqua un po’ più felice di qualcun altro. In testa il discorso è chiuso, mentre dietro si riapre per Champions League e retrocessione.

Il Milan può iniziare a organizzare le celebrazioni per il diciottesimo scudetto della sua storia. Otto punti di vantaggio a quattro giornate dal termine sono decisamente troppi da perdere per i rossoneri, troppi da recuperare per l’Inter, che da ieri è di nuovo seconda. Ha smesso di crederci il Napoli, che in due settimane è scivolato dal -3 che autorizzava a sognare, al -9 che costringe al risveglio. La sconfitta col Palermo, per come è arrivata, è l’emblema di una squadra in debito d’ossigeno, la conferma di tutti i limiti della rosa a disposizione di Mazzarri.

Lazio e Udinese hanno gli stessi problemi, ma meno talento del Napoli. La squadra di Reja butta via una partita che sembrava già vinta contro l’Inter. La punizione con cui Sneijder pareggia forse non c’era, ma il dettaglio cambia di nulla la valutazione generale. I friulani contro il Parma trovano la terza sconfitta nelle ultime quattro partite, dimostrando di pagare lo sforzo enorme fatto tra ottobre e marzo, e di non poter fare a meno della buona salute Di Natale e Sanchez.

La Roma vince col Chievo nonostante un Vucinic sempre più formato Egidio Calloni. Lo sciaguratissimo montenegrino continua a divorare un gol dopo l’altro e sembra entrato in un tunnel di insicurezza senza via d’uscita. A quattro punti dal quarto posto la squadra di Montella non sembra comunque avere le energie per rimontare sulle due avversarie che la precedono.

Detto questo rimane il fatto che il nostro campionato porterà in Champions League quattro squadre che non sono all’altezza delle migliori d’Europa. Milan e Inter sono vecchie, stanche, spremute fino all’osso, e ne hanno dato prova in questa stagione di alti e bassi, il Napoli sembra avere il talento ma non l’esperienza necessaria per competere ai massimi livelli, Lazio e Udinese hanno disputato una stagione al di sopra di ogni più rosea aspettativa, ma in un confronto contro la quarta del campionato inglese o spagnolo (ma probabilmente anche contro i campioni di Ucraina o Russia) rischierebbero di uscire con le ossa rotte. La mediocrità del nostro calcio non ha più limiti, vedere ad esempio la Juventus, capace di farsi rimontare in casa dal Catania dal 2-0 al 2-2, vedere le montagne russe dell’Inter, che una la vince e una la perde male, vedere lo stesso Milan, che in un campionato un po’ più impegnativo del nostro avrebbe rischiato seriamente di arrivare quarto o quinto. Nessuno lo vuole ammettere, nessuno fa niente per cambiare rotta, e, visto che siamo in tema pasquale, aspettano tutti una miracolosa resurrezione.

Ancora tu? Probabilmente Raul e Eto’o non pensavano che si sarebbero incontrati in campo ancora una volta, dopo l’addio al calcio spagnolo di Samuel e dopo quello, con un anno di ritardo, dell’ex capitano del Real Madrid. E invece il destino ha fatto sì che si incrociassero di nuovo, forse nell’anno meno probabile, e per ora con un esito ancora più difficile da pronosticare. Raul e Eto’o, due storie che potevano incrociarsi e hanno finito per scorrere su due binari paralleli per tanti anni, incarnando la sfida infinita tra Barcellona e Real Madrid.

Eppure i due avrebbero potuto rappresentare una delle coppie d’attacco più forti del mondo. Samuel aveva 15 anni quando è arrivato a Valdebebas, Raul ne aveva quattro in più, ed era già la stella merengue che col numero 7 sulla maglia faceva impazzire il Santiago Bernabeu. Troppo giovane il camerunense, acerbo e chiuso da Suker e Mijatovic. Una serie di stagioni in prestito: prima al Leganés, poi all’Espanyol, senza riuscire a esplodere, tanto che al momento di costruire i suoi primi Galacticos, nel 2000, Florentino Perez decise di farne a meno cedendolo al Mallorca.

Lì, nelle Baleari Samuel ha iniziato a diventare grande, mentre Raul a Madrid continuava a vincere, prima al fianco di Morientes e Figo, poi di Ronaldo e Zidane. Poi, nel 2004, la chiamata del Barcellona, stremato da cinque anni senza l’ombra di un titolo: è l’inizio di un nuovo capitolo, aperto subito con un campionato vinto dai blaugrana e con quel coro cantato da Eto’o: “Madrid cabron saluda el campeon”. Dolcissima vendetta per lo scarto di Florentino. Cinque anni straordinari, con 108 gol in 144 gare di campionato, e dieci clasicos contro il Real che l’aveva snobbato e contro Raul, con cui non aveva mai potuto condividere la gioia di un gol. Un conto perfettamente in parità negli scontri diretti: due pareggi, quattro quelli vinti da Eto’o, quattro anche quelli conquistati da Raul, leggermente favorevole a Samuel per quanto riguarda i campionati, 3-2.

L’ascesa di Eto’o è coincisa con il declino (parziale e apparente) di Raul, l’affermazione internazionale del primo con l’emarginazione dalla nazionale spagnola del secondo. Fino a quella partita a San Siro, in cui Raul si è preso la rivincita che cercava, resa ancora più gustosa da un pronostico che lo dava sfavorito come mai era stato in un faccia a faccia con Samuel. Quel 2-5, che per inciso ha portato anche il gol numero 71 del miglior marcatore della storia della più importante competizione continentale, pesa da morire nel bilancio delle sfide tra i due e rischia di farlo anche nella corsa alla finale di Champions League. Quella di stasera potrebbe essere la loro ultima volta sullo stesso campo contemporaneamente, perché Raul ormai va per i 34, e ha più stagioni alle spalle di quante gliene restano davanti. Potrebbe essere l’ultimo capitolo della storia, la fine di una sfida infinita tra due fuoriclasse che avrebbero potuto essere alleati, ma che il destino ha voluto avversari.

Nemmeno il bacio del Principe è bastato per risvegliare la brutta, bruttissima addormentata. Che spreco un Milito finalmente di nuovo tanto bello nel giorno peggiore dell’Inter. L’argentino ce l’ha messa tutta: oltre al gol il solito vecchio lavoro per i compagni, i dribbling e i cambi di direzione immediati, le sponde e gli scatti sul filo del fuorigioco. Non è bastato nemmeno un gol di Stankovic alla Stankovic per mettere ancora più in discesa una strada che sembrava già esserlo dal giorno dei sorteggi.

L’Inter ha avuto troppa paura, quella che incomprensibilmente l’ha attanagliata subito dopo l’1-0 segnato a freddo, la stessa che l’ha travolta dopo il 2-3 firmato da Raul. Contro lo Schalke i nerazzurri hanno commesso gli stessi errori compiuti a Monaco, ma stavolta sono stati meno fortunati. Squadra lunghissima, nessuna protezione dal centrocampo, difesa quasi mai in linea e clamorose papere individuali. Se anche il capitano Zanetti tradisce, allora si mette male: sul 2-2 il Pupi non fa la diagonale e concede a Edu un corridoio larghissimo in cui infilarsi, sul 2-3 si muove in colpevole ritardo rispetto alla linea difensiva e tiene in gioco Raul.

Il tracollo arriva inaspettato, sebbene il derby avesse suonato un preoccupante campanello d’allarme. Inaspettato perché dopo i sorteggi di Nyon i nerazzurri si sentivano già in semifinale, e forse anche per questo hanno sbagliato completamente l’approccio alla gara, sottovalutando uno Schalke che invece è sceso in campo convinto di poter vincere. Per il calcio italiano è una pessima notizia, e non solo per via dei coefficienti Uefa. Anche i più convinti sostenitori della presunta superiorità tattica e della maggiore difficoltà del nostro campionato dovranno ricredersi. Non si prendono lezioni di calcio da Shakhtar, Tottenham e Schalke per caso. La situazione è piuttosto grave, e riuscire ad ammetterlo sarebbe il primo passo per uscirne.

Torna la Champions, ammesso che se ne fosse mai andata (chiedete ai giocatori dell’Inter a cosa pensavano sabato sul 2-0 per il Milan e con un uomo in meno). Torna e comincia a farsi interessante, perché adesso in palio c’è un posto in semifinale, e Wembley comincia a far gola anche a chi all’inizio ci credeva meno. Tre sfide su quattro sembrano già segnate, una resta apertissima e potrebbe restarlo fino all’ultimo istante della gara di ritorno. Ancora una volta, come per gli ottavi, proviamo a indovinare chi passerà il turno analizzando match per match.

Inter vs Schalke 04 – L’Inter deve giocare e vincere per se stessa e per l’Italia. Tutto il Paese, gufi a parte, farà il tifo per i nerazzurri, non fosse altro perché i coefficienti Uefa impongono di iniziare da subito a recuperare terreno sulla Bundesliga. Ecco perché il quarto contro lo Schalke vale anche qualcosa in più della semifinale che promette. I tedeschi sono Raul e poco altro. Stasera, a San Siro, Huntelaar non ci sarà, ma potrà recuperare per la gara di ritorno. Neuer invece dovrà mettere in campo tutto il suo talento per sopperire alla pochezza difensiva della sua squadra. Se l’Inter gioca da Inter non c’è storia, ma sbagliare è vietato: ribaltare una situazione di svantaggio in Germania per la seconda volta potrebbe essere troppo difficile. Chi passa? Inter.

Real Madrid vs Tottenham – La sconfitta contro lo Sporting Gijon ha abbattuto l’imbattibilità casalinga di Mourinho e messo a nudo tutti i limiti di una squadra troppo poco squadra per essere fortissima anche quando mancano i solisti migliori. Ecco perché Mou non può fare a meno di Cristiano Ronaldo anche se non è ancora recuperato al 100% dall’infortunio, ecco tra i convocati c’è anche Kakà, tanto per non farsi mancare niente in caso di necessità. Chi non ci sarà è Benzema, che sarà sostituito da Adebayor, autentico anello debole della catena merengue. Anche il Tottenham si presenta al Bernabeu con l’abito di gala, con Bale e Lennon sulle fasce e Gallas al centro della difesa. Per Mou la qualificazione potrebbe essere più difficile del previsto. Chi passa? Real Madrid.

Barcellona vs Shakhtar Donetsk – Guai a sottovalutare lo Shakhtar! Guardiola lo sa, la Roma l’ha imparato a carissimo prezzo. Gli ucraini sono quanto di più lontano possa esistere dal concetto di squadra materasso: veloci e tecnici, con un enorme potenziale offensivo e una certa solidità acquisita grazie alle lezioni tattiche di Lucescu. Il Barcellona non ha bisogno di essere presentato, e forse è meglio così, perché è sempre più difficile trovare le parole giuste per descrivere una squadra che in campionato viaggia con 8 punti di vantaggio sul Real Madrid, puntando decisa al terzo titolo nazionale consecutivo, e che, con Guardiola in panchina, non ha mai mancato una semifinale di Champions. Chi passa? Barcellona.

Chelsea vs Manchester United – Centrare un sei al superenalotto rischia di essere più semplice di azzeccare il pronostico di questa sfida. Non inganni la classifica della Premier League: Chelsea e Manchester United rappresentano attualmente quanto di meglio il calcio inglese possa offrire. I blues, dopo aver vissuto un lungo periodo di appannamento, sono tornati fortissimi e possono riprendersi in Europa quello che il Manchester sembra avergli già sottratto in campionato. I Red Devils sono però altrettanto forti, più esperti e più sereni: per loro la Champions non è un’ossessione, per Abramovich sì. Chi passa? Manchester United.

La vittoria del Milan nel derby potrebbe essere stata tremendamente pesante nella lotta per lo scudetto, non tanto per i 5 punti di vantaggio sull’Inter, quanto per il calendario, tutt’altro che impossibile, che attende i rossoneri da qui alla fine del campionato: Sampdoria, Bologna e Cagliari in casa, Fiorentina, Brescia, Roma e Udinese in trasferta. Se la squadra di Allegri non cade all’Olimpico o al Friuli è difficile che si lasci sfuggire lo scudetto.

Eppure il Napoli può crederci, perché tre punti non sono poi così tanti, perché, se l’entusiasmo di una città dovesse portare Cavani e compagni a infilare sette vittorie nelle ultime sette giornate allora tutto sarebbe possibile. Bisognerà battere l’Udinese e l’Inter al San Paolo, il Palermo e la Juventus (all’ultima giornata) in trasferta. Un po’ più semplice avere la meglio su un Bologna versione Babbo Natale e su Genoa e Lecce. Sarebbe un’impresa, ma non è poi così da stupidi crederci.

Il Napoli che ieri è stato capace di una rimonta impressionante contro la Lazio ha dimostrato di volerci credere fino all’ultimo, anche se il suicidio della squadra di Reja ha dato certamente una mano. Solo il Napoli quindi alle spalle del Milan, perché l’Inter è lontana, ma soprattutto sembra aver mollato dopo l’espulsione di Chivu e il 2-0 di Pato. Ora è verosimile che i nerazzurri si concentrino sulla Champions e sulla Coppa Italia, ed è lecito pensare che lascino ancora qualcosa per strada in campionato.

Resta, come dato di fatto incontrovertibile, la mediocrità di un campionato dominato da chi, in Europa, si è dimostrato inferiore alla quinta della Premier, e che vede ancora in corsa per il titolo una squadra costruita per obiettivi ben diversi, e che, nonostante abbia trovato una stagione quasi perfetta, continua a non essere una corazzata da portare come biglietto da visita del nostro calcio di fronte alle grandi del continente. Non ce ne vogliano De Laurentiis, Mazzarri e San Gennaro, ma presentarsi a Barcellona, Madrid, Londra o Manchester con lo scudetto sulle maglie del Napoli non sarebbe il massimo della vita.

Meglio di così, davvero, non poteva andare. Schalke ai quarti, Barcellona o Real, eventualmente, solo in finale. E l’Inter può sperare di arrivarci, perché il cammino non è impossibile e perché col tempo potrebbe ritrovare le stesse qualità che un anno fa la fecero trionfare al Santiago Bernabeu.

Di tutte le possibili rivali lo Schalke 04 è sicuramente la più morbida. Molto più dello Shakhtar, nemmeno a paragone con le altre cinque. I tedeschi, che in campionato hanno qualche difficoltà di troppo, hanno già fatto tantissimo eliminando il Valencia agli ottavi ed è naturale che tenteranno di arrivare il più lontano possibile. Ma, oltre Raul (sempre) e Huntelaar (quando si ricorda di essere un calciatore), non sembra avere né le individualità né un’organizzazione di gioco tali da impensierire l’Inter. Certo, sarà bene che i nerazzurri comincino a giocare come sanno e non ripetano l’errore compiuto col Bayern nella gara d’andata, perché ribaltare ancora una volta il risultato in trasferta sarebbe forse un po’ troppo.

Quello che più conta è che Real e Barça sono finite entrambe dall’altra parte del tabellone. La squadra di Mou affronterà il Tottenham, ed è decisamente difficile immaginare le Merenues a casa e gli Spurs in semifinale. Certo, se Bale torna quello visto nella prima parte di stagione il gioco si fa un po’ più difficile, ma Crouch, van der Vaart, Defoe e Pavlyuchenko, non sono certo Cristiano Ronaldo, Kakà, Ozil e Benzema. Troppo netta la superiorità tecnica di una squadra che può essere sconfitta solo dall’ansia da prestazione, ma che si è già tolta un bel peso dalle spalle superando due fantasmi in un colpo solo: ottavi di finale e Lione.

Il quarto del Barça invece è molto meno semplice sul campo di quanto non lo sia sulla carta. Lo Shakhtar è un’ottima squadra, l’ha dimostrato vincendo il girone con l’Arsenal e facendo letteralmente a pezzi la Roma sia all’Olimpico che in Ucraina. Davanti sono veloci e tecnici, dietro compatti e atletici. Srna e Rat sono due tra i migliori esterni difensivi d’Europa, e il fatto che Chigrinsky abbia toppato la sua unica stagione blaugrana non deve trarre in inganno: i mezzi tecnici e fisici certo non gli mancano. Tutto questo conterebbe eccome se dall’altra parte non ci fosse il Barcellona, la squadra più straordinariamente dominante degli ultimi tre anni (e forse anche qualcuno di più), quella degli “illegali”, dei “marziani”, delle “manite” rifilate con estrema generosità. Alla fine la semifinale sarà Barça-Real, ma occhio alle distrazioni.

Dalla parte dell’Inter invece c’è il derby inglese tra Chelsea e United, e qui davvero vale tutto. L’ultimo confronto di Premier è stato vinto abbastanza nettamente dai Blues, che sembrano essersi riavvicinati ai livelli di inizio stagione, quando erano una schiacciasassi da 4 o 5 gol a partita. Se il ritorno dovesse completarsi proprio in vista del doppio impegno contro i Red Devils, per Ferguson sarà davvero dura arginare Drogba e compagni, ma ora come ora la sfida può terminare in qualunque modo. Sicuramente il quarto più incerto di questa bellissima Champions League.

L’Inter ce l’ha fatta. È l’unica italiana nei quarti di Champions League, l’unica a portare la bandiera in Europa. Meglio così, perché sarebbe stato veramente brutto festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia senza nemmeno un rappresentante ai sorteggi di venerdì prossimo. L’entusiasmo per la piccola grande impresa nerazzurra non deve però fornire l’ennesimo alibi al nostro calcio, sempre più in crisi di risultati e di gioco.

L’Inter ha eliminato il Bayern Monaco ribaltando la sconfitta di San Siro. L’ha potuto fare grazie alla mediocrità degli avversari e nonostante le follie tattiche di Leonardo e i clamorosi errori individuali di una difesa incerta e poco protetta dal centrocampo. L’allenatore brasiliano, per quasi un’ora, ha schierato Stankovic sulla trequarti e Sneijder interno sinistro di centrocampo, tanto per agevolare Robben nel compito, già di per sé non impossibile, di fare a pezzi Chivu. Sull’altra fascia Ribery ha preso in giro Maicon, mentre Lucio e Ranocchia facevano quello che potevano, al centro di una linea mai perfetta.

Ce l’hanno fatta soprattutto grazie a un Eto’0 magnifico (e non è una novità), che più del gol segnato e di quello fatto segnare, si è dimostrato trascinatore andando a recuperare una palla già persa, mettendo pressione a Breno, costringendolo all’errore e mantenendo comunque la lucidità per vedere il movimento di Pandev per la rete decisiva. Ce l’hanno fatta anche grazie a uno Sneijder ad altissimi livelli (ed è un piacevole ritorno), molto più efficace nell’ultima mezz’ora sulla trequarti che nei primi sessanta minuti a centrocampo, e perché Pandev, in una partita in cui ha sbagliato tutto, ha indovinato le uniche due cose che alla fine contavano per davvero: l’assist per l’1-0 di Eto’o e il gol del 3-2. E ce l’hanno fatta anche perché Coutinho, pur perdendo qualsiasi pallone toccato, col suo ingresso ha avuto il merito di riportare Sneijder nel suo ruolo naturale.

Ma fondamentalmente ci sono riusciti perché sono più forti del Bayern e perché hanno avuto il merito di crederci fino alla fine, aiutati un po’ dalla fortuna e un po’ da Julio Cesar, che dopo aver infilato il secondo errore consecutivo, copincollato da quello compiuto nella gara d’andata, ha parato tutto quello che si poteva parare e anche qualcosa in più.

Ora c’è già chi parla di svolta, e chi si dimentica della lezione che la Roma ha preso dallo Shakhtar, del Milan tremendamente insipido visto contro il Tottenham, e del triste addio del Napoli all’Europa League. Stavolta è andata bene, la prossima chissà, ma iniziare a imparare dai propri errori potrebbe essere un buon punto per ripartire.

Tre giorni consecutivi senza vittorie di Borussia Dortmund, Barcellona, Milan e Inter. Difficile da immaginare ma è quanto successo tra venerdì e domenica. Hanno iniziato i nerazzurri di Leonardo e i gialloneri di Klopp. I primi fermati sul pari al Rigamonti e salvati da un miracolo di Julio Cesar sul calcio di rigore di Caracciolo che avrebbe potuto regalare addirittura la vittoria al Brescia, i secondi sconfitti dall’Hoffenheim nono in classifica, a sei punti dall’Europa e reduce da quattro giornate consecutive senza una vittoria.

Serie A chiusa e Bundesliga riaperta? No e no. Perché il Milan fa di tutto per non battere il Bari in quella che sembrava la partita dall’esito più scontato di tutto il week-end di calcio internazionale, rischiando addirittura di perdere e trovando il pareggio solo a cinque minuti dalla fine con Cassano. Partita pazza anche perché  Brighi non sbaglia un fischio, evitando di aiutare il Milan a cui annulla (giustamente) due gol, espelle (in maniera sacrosanta) Ibra e nega un rigore (che sarebbe stato piuttosto generoso) su Pato. Difficile da credere, ma vero: al Milan, contro il Bari, gli arbitri non hanno dato nemmeno un piccolo aiutino. Per quanto riguarda invece la Bundesliga il discorso era e resta chiuso nonostante la sconfitta del Dortmund. Ora i punti di vantaggio sul Leverkusen, vincente a Magonza, sono 9, comunque tantissimi, troppi per gettarli al vento nelle ultime otto giornate.

Ma lo stop più clamoroso è quello del Barcellona al Sanchez Pizjuan. Non tanto per il livello dell’avversario, un Siviglia che ha vissuto momenti migliori ma resta comunque una squadra assolutamente rispettabile, quanto perché si tratta del secondo pareggio esterno nell’ultimo mese per una squadra che prima della partita di Gijon, fuori dal Camp Nou, aveva sempre vinto. Una piccola bottarella che a fine primo tempo sembrava potersi trasformare in un cazzotto da ko. Il ginocchio di Messi che picchia contro quello di Javi Varas, la Pulce dolorante a terra, lo sguardo pallido e preoccupato di Iniesta, una paura lunga tutto l’intervallo. Alla ripresa del gioco però Leo è in campo e qualche minuto dopo il pareggio di Jesus Navas sfiora anche il gol del 2-1 con una delle sue giocate da fenomeno. Real che recupera due punti e ora è a cinque dalla vetta, anche se sarebbe meglio dire sei, a meno di immaginare un 6-0 di Mou a Guardiola nella sfida del Santiago Bernabeu.

La chiusura è ancora per la nostra serie A, ed è tutta dedicata all’Udinese, straripante (come sempre) a Cagliari e fresca di sorpasso alla Lazio in zona Champions. Non fosse stato per le prime quattro giornate buttate via in quel modo, la squadra di Guidolin sarebbe una seria candidata allo scudetto. Un calcio alla noia che serviva come il pane al nostro campionato, sempre più piccolo e provinciale difronte alle grandi d’Europa.

Un esordio così forse lo aveva sognato. Giampaolo Pazzini, l’acquisto d’emergenza del mercato invernale dell’Inter, arrivaa San Siro ed è subito eroe. Non tutti erano d’accordo sul fatto che fosse il giocatore giusto per i campioni d’Italia, per alcuni il suo ingaggio era più un dispetto alla Juve che una reale necessità di Leonardo. E invece Moratti ha già vinto la sua scommessa.

Pazzini è stato un ottimo affare. Innanzitutto, ed è piuttosto evidente, perché in appena 45 minuti ha trasformato una sconfitta in una vittoria con due gol e un rigore procurato, e poi perché nel prenderlo l’Inter è riuscita a liberarsi di un peso morto come Biabiany.

Il Pazzo ha preso il 7, lo stesso numero che sta sulle spalle del capocannoniere del campionato Edinson Cavani. L’uruguaiano ieri ne ha fatti tre, segnando anche su rigore in una giornata in cui tutti gli altri, dal dischetto, sbagliavano. In totale ora sono 17, in 22 partite di campionato, 24 contando anche le Coppe. E ha 23 anni ed è praticamente alla stagione d’esordio nel ruolo di prima punta. Il Napoli ha capito il suo potenziale e ha deciso di migliorare la squadra lì dove ancora fa un po’ d’acqua. In difesa è arrivato Victor Ruiz, ne parleremo parecchio.

E se le prime tre rilanciano, qualcuno già smobilita. La Samp in un mese ha più che dimezzato il suo potenziale, regalando prima Cassano al Milan e poi cedendo Pazzini all’Inter. Ora in attacco c’è un giovane di prospettiva, ma ancora immaturo come Macheda, e una seconda punta che non è mai andato oltre i 13 gol in un campionato come Maccarone. Un po’ poco per confermare ambizioni che nemmeno un anno fa avevano portato i liguri a giocarsi il preliminare di Champions League, ma abbastanza per fare una figuraccia proprio al San Paolo contro il Napoli dell’ex Mazzarri.

In mezzo sta chi prova a conservare quel che ha di buono. Il Cagliari respinge gli assalti a Lazzari e Matri, almeno fino a giugno, ma se dovesse arrivare un’offerta irrinunciabile l’attaccante di Lodi potrebbe lasciare la Sardegna direzione Juventus. Cellino ne vuole 18, sembrano un po’ troppi, ma la disperazione dei bianconeri, che a gennaio hanno già perso Pazzini, Dzeko, Adebayor e Cassano, potrebbe colmare il gap che separa la richiesta dall’offerta. C’è tempo fino alle 19, poi se ne riparla a giugno.